UN INNO PER GLI EROI

Era in pezzi, ma non distrutto. Terra e polvere la sua trincea contro il tempo: l’ultimo dei suoi nemici non ha scalfito la fierezza del suo volto e il coraggio infinito del suo sguardo.

Anche i suoi compagni hanno subìto la stessa sorte, 26 reduci di un esercito che ha combattuto battaglie a noi sconosciute che ci hanno forgiato.

I pugilatori sono a torso nudo e portano al braccio destro un guanto armato che li contraddistingue. Gli arcieri imbracciano l’arco. I guerrieri si difendono con uno scudo circolare.

Chi li ha abbattuti non è riuscito a sminuire la loro grandezza. Non soltanto quella dovuta all’altezza di oltre due metri, che li ha qualificati come i “giganti di Mont’e Prama”, ma anche per aver attraversato gloriosamente i tremila anni che li hanno portati, immortali e feriti, fino a noi: 5.178 frammenti di arenaria gessosa rimessi insieme per ricostruirli.

Adesso si può rendere omaggio a queste statue di antichi militi, riproduzioni di dimensioni enormi dei bronzetti nuragici, in parte presso il museo archeologico di Cagliari, in parte presso il museo civico Giovanni Marongiu, a Cabras, luogo in cui casualmente, nel Marzo del 1974, furono rinvenute durante l’aratura di un campo agricolo.

Di nuovo imponenti in piedi e noi all’ombra della civiltà da cui discendiamo.

La loro marcia sembra riecheggiare ad ogni passo di altri soldati sardi, che perpetuano lo stesso ardire e lo stesso onore avuti in dote. E i cerchi concentrici dei loro occhi, il taglio netto del segmento della loro bocca, sembrano portarli in vita per unirli ai Dimonios evocati dal grido all’unisono della Brigata Sassari.

Perché loro sono statue di eroi che forse, un inno non lo hanno mai avuto. Come il guerriero che è in ognuno di noi.

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