- Luca Locci
- Tradizione Sarda
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C’è chi giura di averla vista, con la sua pelle luminosa e diafana, così delicata da poter uscire solo la notte perché il sole rischierebbe di ucciderla. I capelli ornati con un fazzoletto multicolore, ricamato con fili d’oro e d’argento. Indossa un vestito rosso porpora che evidenzia la bellezza del suo corpo.
C’è chi non l’ha vista, ma ha la prova della sua esistenza: è buona e generosa, regala sempre ricchezza inaspettata e fortuna.
C’è chi invece la ritiene dispettosa e cattiva e teme di incontrarla, per non incappare in uno dei suoi perfidi brutti scherzi.
D’altronde è risaputo che la realtà spesso è fatta di versioni diverse, pur restando la stessa. Figuriamoci l’immaginazione, ispirata dalle grotte scavate nella roccia, che costituirebbero la sua casa, infatti sono chiamate “domus de janas”.
In verità la storia classifica tali ambienti come tombe prenuragiche, sepolcri risalenti a oltre 5.000 anni fa, in cui veniva riprodotta sommariamente la casa dei vivi, affinché il defunto potesse venire agevolato nel suo ciclo di morte e rinascita.
Se ne contano qualche migliaio, diffuse in tutta la Sardegna, alcune affrescate, decorate con simboli di culto in rilievo e dipinte di rosso ocra. Quella di Sant’Andrea Piru è stata persino utilizzata come chiesa in epoca bizantina. Tra le più conosciute si annoverano le necropoli di Montessu a Villaperuccio e di Anghelu Ruju ad Alghero, ma se ne trovano numerose e particolari da Castelsardo a Sedini, da Pimentel a Ittiri, da Porto Torres a Settimo San Pietro.
Forse è stata proprio la singolarità delle suddette caverne e il loro legame con i misteri del mondo oltre la vita, a renderle la dimora ideale per le storie delle janas, piccole creature magiche, alte quanto un palmo di mano, capaci di trasferirci quelle abilità che ancora sono tradizione della nostra isola: la tessitura, la panificazione, su ballu in tundu, ma anche l’uso di erbe curative e di unguenti, tipici del nostro territorio.
Forse non abitano più nei boschi ma non sono sparite per sfuggire alla nostra invadenza e avidità, nascondendo i loro tesori, come si narra. Forse quei tesori e le piccole janas stanno semplicemente nelle mani, negli occhi e nel cuore delle donne che abbiamo accanto e di quelle che siamo.
Chi ha giurato di vedere una jana in tutta la sua bellezza, non mentiva; tanto quanto diceva il vero chi sosteneva di avere avuto in serbo da lei bontà o cattiveria. Perché che sia fata o strega, dipende soltanto dal sentimento di chi la guarda. - S.L -