IL VALORE DELL’UMILTÀ

All’inizio non si nota. La sua sagoma defilata pare voler lasciare la scena allo sfondo, come se si schermisse dalla propria importanza o come se non fosse necessario mettersi in primo piano per averne.

Il gregge sembra muoversi in modo scomposto e confuso, in balìa di se stesso; le pecore hanno la loro parvenza mite e anonima che le rende apparentemente tutte uguali. Ma è soltanto la superficialità dei profani.

Il pastore, ritto accanto al suo bastone, ora è ben visibile. Le sorveglia. Le ha condotte con perizia lungo il percorso stabilito: occorre essere autorizzati all’accesso ad ogni terreno. Non pascolano a caso, anche se questa è l’impressione.

Ha l’aria di starsene indolente in attesa; in realtà, con i suoi occhi vigili monitora l’intero gregge, che conosce a fondo a prescindere dal numero di pecore che lo compongono, pronto ad intervenire affinché nessun animale si smarrisca o si metta in pericolo. I cani, che ha abilmente addestrato a tale compito, gli fanno da fedeli e affidabili assistenti.

D’altronde, con l’esperienza ha imparato che il suo ruolo di pastore implica acquisire diverse competenze: gli capita di doversi improvvisare veterinario all’occorrenza e possiede una approfondita conoscenza del territorio e delle specie animali e vegetali che lo popolano.

Inoltre, pochi o nessuno, quando indossano un indumento di lana, o bevono un bicchiere di latte, o assaporano un dolce alla ricotta, associano quel loro privilegio alla sua capacità di tosare le pecore, di mungerle, di preparare il formaggio.

Incuranti e ignari della fatica, dell’abnegazione, del tempo richiesti per l’approvvigionamento di quei prodotti, a fronte di un guadagno esiguo e inappropriato. Ma questa è un’altra storia: la storia di una burocrazia e di un sistema che non sono in grado di essere all’altezza del suo lavoro.

Intanto il pastore, vecchio con la dignità e il segno delle sue rughe o giovane con la sua istruzione tecnologica, uomo con il suo senso pratico o donna che non rinuncia al vezzo del suo fascino neanche in uno scarno ovile, continua a guidare e ad accudire il suo gregge. Anche quando il sole picchia troppo forte, anche quando scoppia un temporale da bagnarsi fino al midollo, anche quando la neve diventa cattiva e un intralcio, pur essendo così bella. Con le stagioni e il ritmo delle giornate a imporsi come unico orologio e come unico calendario.

Soprattutto, con l’umiltà di chi è consapevole del valore delle cose semplici e del suo operato, ma lo grida più con il suo impegno silenzioso che con la sua voce. Con la stessa umiltà che ci ha insegnato la terra sarda da cui siamo nati e che ci contraddistingue ancora dovunque andiamo. - S.L. -

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