FIGLI DELLA DEA

La caratteristica che più colpisce, davanti alle realizzazioni artistiche che ci arrivano da un lontanissimo passato, è la semplicità. La capacità dei nostri avi di esprimere con pochi mezzi e molta chiarezza concetti di grande portata.

Un esempio di tale stupefacente talento si può riscontrare nelle numerose (oltre 130) statuine di piccole dimensioni (in media 15 cm) ritrovate nella nostra isola, che riproducono la Dea Madre.

La più antica è la Venere di Macomer, che risale a circa 10.000 anni fa. Nonostante la sua sagoma grezza e indefinita, trabocca di femminilità attraverso l’abbondanza dei suoi glutei e delle sue cosce.

A 5.500 anni fa appartengono le statuette scolpite nella pietra, ancora più tondeggianti e compatte, i volti e le forme incisi da linee nette. Simboleggiano in estrema sintesi la ridondanza, la fertilità e il potere di donare la vita.

Ma anche di accompagnare nella morte e favorire la rinascita, come attestano anche le statuette più longilinee e stilizzate (4.500 anni fa), con la parte inferiore che si restringe conferendo la forma a “T”, con i visi a becco e le piccole sporgenze dei seni abbozzate.

Per passare infine alle più recenti Madonne Nuragiche in bronzo (3.000 anni fa), raffigurate con in braccio i loro bambini, molto più dettagliate e mobili nelle loro espressioni e nelle loro pose. Decisamente attuali.

Un percorso lungo ma lineare, tra statuine di argilla e alabastro, marmo e osso, arenaria quarzosa e bronzo, che ci raccontano la Dea che con la sua indole benevola e amorevole di madre, elargisce ricchezza di risorse e prosperità, rifugio e speranza.

La rassicurante ciclicità della natura, che tutto trasforma e niente disperde.

Una verità che resta con evidenza valida e una lezione che l’uomo moderno, a distanza di migliaia di anni, preferisce in virtù della sua arroganza ignorare. - S.L. - 

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